Se l’esistenza dei “piani di emergenza” nei luoghi di lavoro è nota per la visibilità di vari elementi legati alla gestione operativa del piano (estintori, segnaletica, mappe di orientamento in caso di emergenza, …), tuttavia sono spesso “meno note tutte le misure che vanno attuate in prima persona, i ruoli attesi, le indicazioni normative e quelle procedurali aziendali, in quanto spesso ritenute appannaggio solo di tecnici ‘esperti’”. E questa “scarsa conoscenza e fiducia rispetto alle finalità e ai contenuti del Piano di Emergenza”, dipende dall’atteggiamento nei confronti dei “due termini che definiscono questo documento, cioè: ‘Piano’, quindi la necessità di pianificare, ed ‘emergenza’, vale a dire qualcosa che non attiene la normalità, in cui invece il rischio dovrebbe essere nullo o ben controllato”.
Soffermandosi sul passaggio dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza, si ricorda che l’oggetto di una Valutazione dei Rischi (VdR) è descritto al Titolo I Sezione II del D.Lgs 81/2008 e s.m.i. e richiede quindi la conoscenza preventiva di:
- luoghi di lavoro (spazi, altezze, illuminazione, ecc);
- rischi specifici derivanti dai lavori svolti (rumore, vibrazioni, sostanze pericolose, ecc);
- scenari di rischio più ampi cui può essere soggetta l’attività (anche se spesso vengono limitati all’incendio);
- mansioni lavorative degli addetti e grado di esposizione ai rischi (tempi, modi, numero di persone, ecc);
- capacità degli addetti (fisiche, mentali, distribuzione nell’attività, formazione, ecc).
Una volta individuate le fonti di rischio e il loro impatto sull’organizzazione dell’attività, il Datore di Lavoro deve assicurarne l’eliminazione o la riduzione, attraverso misure di prevenzione e di protezione adeguate:
- misure passive (sistemi di allarme, dispositivi di protezione collettiva, ecc);
- misure attive (estinzione del fuoco, DPI, ecc);
- misure procedurali (chi fa cosa, squadre di intervento, ecc).
Tutte queste analisi dovrebbero portare alla predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), così da organizzare in sicurezza le attività che vengono svolte normalmente, e di un Piano di Emergenza, utile quando un certo pericolo si manifesta e deve quindi essere affrontato dai lavoratori (fuoco, fuga di sostanze pericolose, sisma, ecc), ma purtroppo esiste una certa “confusione” fra quelli che sono gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (Testo Unico) e le indicazioni del D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”.
Infatti se l’assenza del Piano è “elencata tra le violazioni gravi previste all’Allegato I del D.Lgs 81/2008 e s.m.i. , tuttavia la sua redazione viene generalmente ricondotta al punto 8.1 dell’allegato VIII del D.M. 10/03/1998, che però si occupa solo del rischio di incendio”.
Il risultato di questa confusione è, dunque, una divergenza di obiettivi fra il Testo Unico, che raccomanda al Datore di Lavoro di tutelare il lavoratore da tutti i rischi cui può essere esposto, e la pianificazione dell’emergenza, che rischia di limitarsi solo alla possibilità di incendio o di esplosione.
Tuttavia il Piano di Emergenza aziendale contiene e comprende il Piano antincendio, ma non sono la stessa cosa; l’adozione di procedure di intervento che non tengano conto di ciò, crea essenzialmente due fenomeni:
- le indicazioni antincendio (che sono le più note) vengono adattate a tutti i rischi ambientali; da qui, ad esempio, l’assenza di azioni di protezione personale durante il sisma, a favore invece di un esodo immediato ed indifferenziato;
- vengono ricavati tanti scenari e procedure quanti sono le possibili tipologie di rischio, sintetizzando diversi manuali e indicazioni, con fonti più o meno attendibili. Vista la loro complessità, raramente queste azioni sono effettivamente note ai lavoratori o vengono sperimentate nelle prove annuali di emergenza (spesso confuse con le prove di esodo antincendio…).
Nei luoghi di lavoro sono generalmente presenti, alternativamente:
- un unico Piano di Emergenza “antincendio”, soprattutto nelle aziende soggette al controllo dei Vigili del Fuoco (come le scuole);
- due Piani distinti: uno destinato alla pratica antincendio e uno da allegare agli incartamenti previsti in azienda dal Testo Unico (e quasi sempre i due documenti non sono congruenti, quindi non è chiaro quale sia da adottare sul posto);
- un unico Piano di Emergenza, che contiene anche le disposizioni antincendio e ogni altro rischio, con procedure tutte diverse e fin troppo dettagliate, di consistenza quasi enciclopedica.
Inoltre dalla lettura congiunta del Testo Unico e del Decreto ministeriale del 1998 si evidenziano poi anche altre zone d’ombra, ad esempio:
- come vanno individuati e valutati i rischi dovuti al contesto in cui si trova l’attività?
- chi e come decide in azienda la ‘gravità’ di un’emergenza, sia essa in atto o solo annunciata (ad esempio l’arrivo di una forte perturbazione o di un tornado)?
- che azioni vanno intraprese di conseguenza?
- come si valuta la fine di una situazione di pericolo, soprattutto se questo coinvolge aspetti non totalmente sotto il controllo dell’attività?
- come tenere conto nelle proprie procedure della presenza di utenti non formati?
Nel caso di gravi calamità ambientali (come alluvioni, frane, terremoti, … ) la gestione di un’emergenza non può limitarsi a descrivere come mettere al sicuro ciò che non lo è, ma dovrebbe essere finalizzata anche ad evitare alle persone di subire ulteriori disagi dall’interruzione del proprio lavoro, di un servizio o di un sostegno sociale. Aspetti particolarmente rilevanti nel caso di attività che non possono essere facilmente interrotte e messe in sicurezza, come per i luoghi dove sono presenti sostanze pericolose (prodotte, trasportate, ecc) oppure dove le vie d’esodo non sono ordinarie (spazi confinati, gallerie, navi, grandi manifestazioni all’aperto, ecc) o degli ambiti dove sono radunati un pubblico o molti utenti (scuole, teatri, ospedali, centri commerciali, ecc).
A cura di Giovanni Polidoro
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Fonte della notizia: www.puntosicuro.it
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