La definizione di lavoratrice madre è legata al processo d’informazione del proprio stato al datore di lavoro: come dire che, in assenza di tale elemento (il quale costituisce a tutti gli effetti un onere posto a carico della lavoratrice madre e in alcuni casi un vero e proprio obbligo, sia pure sfornito di sanzione), la normativa di tutela non risulta obbligatoriamente applicabile.

Normative in materia di Valutazione Rischi Lavoratrici Madri

Rispetto alla normativa precedente, anche il D. Lgs. n. 151/2001, improntato alla medesima “filosofia” e ai principi codificati nelle Direttive comunitarie, ha concepito nei confronti delle lavoratrici madri una tutela non soltanto diretta, bensì intermediata da quella fondamentale, imprescindibile, preliminare attività di valutazione dei rischi professionali, della quale il documento di valutazione dei rischi rappresenta la sintesi più efficace.

È così anche nell’ambito della tutela della maternità in tutte le sue fasi:
gestazione, parto, allattamento. Il metodo dell’autovalutazione dei rischi è contestuale all’obbligo di tradurlo nella redazione di un documento programmatico operativo finalizzato alla prevenzione fanno sì che il tema della prevenzione entri a pieno titolo tra i modelli organizzativi aziendali.
L’art. 11 del D.Lgs. n. 151/2001 sancisce l’obbligo del datore di lavoro (fermo restando il divieto di adibire la lavoratrice madre a determinati lavori specificati e considerati faticosi, pericolosi e insalubri) di valutare, nell’ambito e agli effetti della suddetta valutazione, i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici madri.

Normative in materia di Valutazione Rischi Lavoratori Minorenni

Il lavoro minorile trova una speciale tutela nella Costituzione della Repubblica italiana attraverso alcuni articoli che stabiliscono una normativa particolare che riguarda il lavoro salariato di fanciulli e adolescenti.
A tutelare i giovani che si avviano ad intraprendere un lavoro ci ha pensato anche la Comunità Europea con la direttiva 94/33. Con essa viene stabilito dei principi base in merito ai rapporti lavorativi con i minorenni.

In primo luogo è stato fissato il compimento del quindicesimo anno di età come requisito per accedere nel mondo del lavoro. Secondariamente è stato stabilito che il giovane deve prima di ogni cosa intraprendere un percorso di istruzione e formazione professionale.
I minori che hanno un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, adolescenti, non possono eseguire lavori che potenzialmente arresterebbero il pieno sviluppo fisico. In particolare, il D. Lgs. 262/2000 specifica che essi:

  • non devono essere esposti a rumori che superano gli 87 db
  • non devono venire in contatto con sostanze tossiche; corrosive; esplosive; cancerogene; nocive o che esporrebbero loro a particolari rischi per la salute;
  • non possono lavorare nelle macellerie in cui si utilizzano arnesi taglienti e celle frigorifere;
  • devono evitare di utilizzare saldatrici ad arco o ossiacetileniche;
  • non possono compiere lavori utilizzando martelli pneumatici, pistole fissachiodi, strumenti vibranti e apparecchi di sollevamento meccanici;
  • non devono svolgere lavori sulle navi in costruzione, nelle gallerie o utilizzando forni ad elevate temperature;
  • devono evitare di eseguire lavori all’interno di cantieri edili in cui si possono verificare rischi di crollo.

Per essere avviato al lavoro l’adolescente deve sottoporsi ad una visita medica preventiva e, una volta assunto, a delle visite periodiche almeno una volta all’anno. Inoltre ai minori è fatto divieto svolgere dei lavori durante le ore notturne; più precisamente nell’arco di tempo che va dalle 22 alle 6 o dalle 23 alle 7. Viene fatta eccezione per attività di carattere culturale, artistico o sportivo ed il lavoro non superi la mezzanotte.