È stato superato ieri il tragico traguardo degli 800 morti sul lavoro in Italia da inizio anno. Un dato che fotografa una vera e propria emergenza nazionale, ma che continua a ricevere scarsa attenzione da parte delle istituzioni e dei media mainstream.

Secondo i dati aggiornati al 14 luglio dall’Osservatorio Indipendente di Bologna, i lavoratori deceduti sono stati 506 sui luoghi di lavoro e almeno 725 considerando anche i morti in itinere e su strada (dato parziale). Se si includono tutte le vittime, anche quelle non assicurate con INAIL – come lavoratori in nero, autonomi o coperti da altri enti – il conteggio supera ampiamente quota 800.

Norme e politiche che non proteggono

L’aumento costante delle vittime non può essere letto solo come una tragica casualità. Le cause sono anche normative e politiche:

  • +43% di morti sul lavoro da quando, con il Jobs Act del 2015, è stato abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
  • +15% dopo la Legge Salvini del 2023 che ha reintrodotto gli appalti a cascata, moltiplicando precarietà e perdita di controllo sulla sicurezza nei cantieri e nei trasporti.

A tutto ciò si aggiunge l’indifferenza verso alcune categorie di lavoratori ad altissimo rischio, come gli agricoltori e i trattoristi, già 85 i morti schiacciati da trattori e mezzi agricoli dall’inizio del 2025.

Lavorare fino alla morte

Tra i dati più inquietanti:

  • 107 vittime ultrasessantenni, segno che la spinta a lavorare più a lungo sta presentando un conto altissimo.
  • 65 morti per fatica o stress da superlavoro, tra cui operai, braccianti, autotrasportatori, medici e infermieri. Le ondate di caldo estremo non fanno che aggravare la situazione.

Anche il settore del trasporto è gravemente colpito: 75 tra autotrasportatori e autotrasportatrici morti nel 2025, spesso in incidenti stradali durante turni massacranti.

Le regioni più colpite

Ecco alcune delle regioni con il maggior numero di decessi sui luoghi di lavoro (senza itinerari):

  • Lombardia: 67 morti (Milano 10, Bergamo 12, Brescia 15)
  • Veneto: 46 (Padova 10, Venezia 9)
  • Emilia-Romagna: 44 (Piacenza 7, Reggio Emilia 6)
  • Toscana: 45 (Firenze 7, Arezzo 6)
  • Campania: 41 (Napoli 11, Caserta 11)
  • Sicilia: 39 (Palermo 11, Catania 5)
  • Puglia: 37 (Bari 13, Brindisi 8)
  • Abruzzo: 26 (Teramo 9, Chieti 8)
  • Piemonte: 26 (Torino 8, Cuneo 7)

Una contabilità silenziosa

I dati raccolti dall’Osservatorio non coincidono con quelli diffusi da INAIL, che non considera i lavoratori non assicurati presso l’ente. Inoltre, molti incidenti mortali vengono registrati nella provincia in cui avvengono, non in quella di residenza, rendendo ancora più complesso il monitoraggio per le autorità locali.

Una delle voci più invisibili riguarda gli incidenti domestici (38 morti nel 2025) e quelli durante attività accessorie come la potatura di alberi (11 vittime).

Un futuro ancora più a rischio

Secondo l’Osservatorio, tra pochi anni la maggioranza delle vittime sotto i 60 anni sarà costituita da lavoratori stranieri, spesso impiegati in mansioni faticose, malpagate e ad alto rischio.

Le morti sul lavoro non sono una fatalità, ma il frutto di scelte politiche, legislative ed economiche. Non bastano le commemorazioni: serve un piano straordinario per la sicurezza, fondato su:

  • Controlli reali e indipendenti,
  • Sanzioni effettive per chi viola le norme,
  • Formazione continua,
  • Riforma delle norme sugli appalti,
  • Potenziamento della medicina del lavoro.

Rimane ancora ispiegabile come si possa accettare di andare a lavorare sapendo che si possa morire.