Una delle tematiche che solleva spesso dubbi tra i lavoratori e gli operatori è relativa alla tutela della salute e sicurezza nei lavoratori inviati all’estero. Quali sono le responsabilità e gli aspetti normativi, medici, operativi per l’individuazione e gestione dei rischi connessi alle attività di lavoro svolte presso committenti in ambito internazionale?
Attribuire un “rischio” alla mansione di “trasfertista”, inteso nel senso classico del termine, per quanto attiene la Medicina Occupazionale, non è così semplice ed immediato. Si può in ogni caso chiamare “rischio da trasferta” benché il relatore preferisca la dizione di rischio biologico potenziale da trasferta.
Si indica che in alcune zone del mondo alcune malattie sono endemiche cioè presenti sempre con un certo numero di casi mentre rare, fortunatamente, sono le forme epidemiche cioè presenti con un altissimo numero e crescenti in forma esponenziale (l’ultimo esempio temporale è l’infezione da virus Ebola).
E la realtà da affrontare è quella delle forme endemiche in quanto, secondo il relatore, in periodi epidemici è bene che le trasferte vengano classificate ad altissimo rischio sanitario e, quindi, sono “da evitare”.
In particolare le malattie che, attualmente, sono endemiche e che ci devono preoccupare sono:
- Malaria (Africa, Asia, America del Sud);
- Tifo addominale (ubiquitaro);
- Colera (Asia e America Meridionale);
- Epatiti A e B (ubiquitaria);
- Virus Zika (Brasile e Sud America);
- Influenza aviaria e MERS con le sue varianti (Estremo Oriente);
- Meningite meningococcica (cintura della meningite Africa Orientale e Centrale);
- Virus Ebola (Africa).
E si sottolinea che l’Azienda ha l’obbligo:
- di informare il personale trasfertista sulla situazione sanitaria del paese di destinazione;
- di rendere noto cioè informare il dipendente sulle norme comportamentali da seguire una volta nel Paese di destinazione lavorativa.
Ipotizzando delle trasferte frequenti e di lunga durata in aree endemiche per malaria (Nigeria nel caso specifico affrontato), la profilassi antimalarica è un procedimento medico che si attua con farmaci antimalarici somministrati, appunto, a scopo profilattico e non ha la stessa valenza di un vaccino che protegge per anni o addirittura per tutta la vita, ma protegge solo fino a quando viene assunto. Si segnala che i farmaci più comunemente usati a questo scopo, con una profilassi lunga e un carico farmacologico elevato, possono avere effetti secondari, scarsa tollerabilità e tossicità epatica e renale.
Tali effetti secondari sono solitamente possibili solamente con assunzioni che si protraggono per almeno 90 giorni continuativi.
Diverso è, invece, il concetto relativo alla “poca tollerabilità individuale che un soggetto può denunciare per il farmaco tipo malessere generale, nausea, inappetenza etc.
Con queste premesse si può, con una certa tranquillità, stilare un protocollo che tiene conto di: durata del soggiorno, frequenza delle trasferte e durata della pausa tra una trasferta e l’altra, disturbi soggettivi provocati dal farmaco, norme comportamentali generali, controlli al rientro in casi particolari.
Ecco un esempio di protocollo operativo relativo al caso specifico affrontato:
- Sono da evitare trasferte con durata superiore ai 90 giorni;
- Ci devono essere almeno tre settimane di tempo tra una trasferta e l’altra per trasferte che superano le quattro settimane (consono all’equilibrio psicosomatico del lavoratore, onde evitare il più possibile fonti di stress da trasferta e sindromi cosiddette ‘da corridoio’);
- Il dipendente avrà a disposizione i farmaci antimalarici e li modulerà a seconda della propria tolleranza individuale;
- Il dipendente segnalerà all’Azienda e al Medico Competente la mancata assunzione del farmaco antimalarico durante il soggiorno e lo farà attraverso un modulo di viaggio che gli sarà consegnato alla partenza.
Inoltre il dipendente:
- Può richiedere esami di controllo al rientro per escludere tossicità epatica;
- Deve, comunque, anche in caso di esecuzione della profilassi, seguire norme comportamentali così come da prospetto.
Queste le norme comportamentali:
- Uso sistematico, costante ed abbondante, di insetto repellenti sulla cute scoperta;
- Divieto di attraversare “zone verdi” specie al tramonto e alla sera;
- Dormire obbligatoriamente in alberghi dotati di aria condizionata;
- Non frequentare locali sprovvisti di aria condizionata;
- Accedere subito a visita medica in caso di febbre.
Chiaramente tutto ciò comporta che i dipendenti abbiano, quale supporto aziendale alla trasferta, una serie di dotazioni e informazioni così enunciabili:
- Fornitura di insetto repellenti;
- Prenotazione in alberghi muniti di aria condizionata;
- Riferimento dell’ Ospedale, possibilmente internazionale, il più vicino al luogo di lavoro;
- Numero di cellulare Medico Aziendale.
E al rientro dalla trasferta il dipendente deve avere la cura di segnalare agli organi competenti aziendali qualsiasi episodio febbrile, di malessere generale, dolori muscolari non giustificabili da traumi in modo che il Medico Aziendale, informato a sua volta, possa prendere eventuali provvedimenti.
L’azienda ha l’obbligo di mettere a disposizione presidi, supporti, profilassi vaccinale e no per la sicurezza del dipendente verso malattie infettive presenti nel Paese di destinazione e di proporli dandone esemplificazione e spiegazione. Il medico competente deve provvedere a questa informazione e supportare la proposta, raccogliere il consenso informato del dipendente o la non adesione al programma o l’eventuale decisione di seguire una diversa strategia preventiva da quella proposta dall’azienda tramite il medico competente.
A cura di Giovanni Polidoro
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Fonte della notizia: www.puntosicuro.it
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